Abbiamo concluso la puntata precedente sostenendo che una decisione politica, se presa nel rispetto degli interessi e dei voleri dei propri rappresentati, è in tutto e per tutto una decisione etica. Specifichiamo ora che una differenza c’è: l’unica differenza è che nel caso della decisione politica, i soggetti coinvolti sono generalmente una moltitudine abbastanza ampia di persone, che vanno dai cittadini di quartiere per il rappresentante locale alla popolazione di uno Stato per il leader di un paese.
In generale, possiamo definire l’attività del politico, in quanto consistente nel prendere decisioni di una certa rilevanza che coinvolgono le persone di cui egli è rappresentante legittimo, come un’attività sottoposta a vincoli di natura etica, vincoli che derivano dal rispetto delle volontà delle persone rappresentate dal soggetto della decisione. La politica perciò è etica a livello intersoggettivamente più elevato, nel senso che la scelta di una decisione richiede la valutazione delle volontà di un numero ben più ampio di persone rispetto a quello delle persone coinvolte in una normale scelta etica, motivo per il quale è palesemente noto che il ruolo di leader politico è un ruolo di maggiore responsabilità rispetto a quello di un comune altro impegno o lavoro. Rientra in questa diversità di livelli dell’azione etica la distinzione weberiana fra etica della convinzione e etica della responsabilità, che molti studiosi hanno preso a riferimento (erroneamente) come una distinzione che afferma la separazione netta e totale fra politica e etica.
Nella sua Teoria generale della politica, sezione III, ad esempio, Bobbio osserva che:
Popolarmente, queste due etiche si possono anche chiamare etica dei principi ed etica dei risultati. Nella storia della filosofia morale vi corrispondono, da un lato, le morali deontologiche come quella kantiana e dall’altro le morali teleologiche come quella utilitaristica. Ma mentre noi abbiamo mostrato che le due etiche portano a ragionamenti di definizione della propria azione specifica singolare che possono coincidere, Bobbio, come tutta la tradizione interpretativa su questo punto, afferma che «le due etiche non coincidono».
Salvo però poi affermare, in un altro punto, che:
alla differenza fra morale e politica, o tra etica della convinzione e etica della responsabilità, corrisponde anche la differenza fra etica individuale e etica di gruppo, cioè che la differenza è una differenza fra due etiche. Tanto è vero che egli specifica che la ragione di stato, cioè il livello di riferimento a cui tradizionalmente deve rapportarsi l’azione del politico non è che un aspetto dell’etica di gruppo, se pure il più clamoroso, se non altro perché lo stato è la collettività nel suo più alto grado di espressione e potenza. Ed è a questo punto che si svela l’errore su cui tutta la tradizione interpretativa della separazione fra morale e politica si basa: il politico è membro del gruppo, e il suo ruolo è quello non solo di seguire, ma anzi di rappresentare l’etica di gruppo, cioè di difendere gli interessi del gruppo di cui è rappresentante.
Dunque l’etica che egli deve seguire non può essere diversa dall’etica del gruppo, anzi, egli è vincolato a seguire quelle prescrizioni che chiamiamo etica di gruppo. E quelle prescrizioni indicano il rispetto del pactum, quindi la difesa degli interessi dei cittadini.
Il rispetto di quelle prescrizioni dunque è una condotta etica, ed è, nello specifico, il dovere etico di un politico in quanto tale. Ogni attività di quel politico non può trasgredire il rispetto di quel dovere fondamentale, dunque ogni attività del politico ha un vincolo etico. Esattamente la conclusione opposta a cui pervengono, pur partendo dalla stessa distinzione, gli studiosi (come Croce o Hegel) quando concludono che il politico può svincolarsi dalle norme etiche nella sua prassi di condotta. A quest’errore si è condotti perché si interpreta la norma etica come una norma sostantiva, piuttosto che una regola di ragionamento, come abbiamo mostrato.Ma ora resta chiaro che le decisioni di un politico, se sono rispettose dei fini per cui egli è stato eletto/nominato/delegato, sono decisioni etiche. E questo perché il fine per cui esiste la politica è un fine etico, e cioè la tutela e la difesa di alcuni diritti ed esigenze di una certa moltitudine di individui. E il rispetto stesso della fiducia dei propri rappresentati, attraverso il rispetto del mandato concesso, è un gesto etico, indipendentemente dalla sanzionabilità giuridica del comportamento non conforme a questo rispetto.
0 Comments