Abbiamo concluso la precedente puntata con queste parole: si può dimostrare che un sistema istituzionale democratico è più funzionale al rispetto dei diritti proprio in quanto consente l’attuazione del diritto di resistenza (dovremmo dire di contestazione in questo caso) nella maniera più indolore e pacifica. 

Mostriamo ora subito quale è questa dimostrazione:

L’argomentazione è, tutto sommato, semplice da svolgere ed è la seguente: una struttura istituzionale di tipo non democratico (una dittatura, una monarchia assoluta, per esempio) potrebbe teoricamente essere frutto di un patto sociale fra cittadini (magari per una migliore garanzia di sicurezza rispetto a guerre e conflitti, come nel modello assolutistico hobbesiano); immaginiamo per assurdo che possa essere anche garantista di certi diritti fondamentali (tra cui le libertà civili e l’inviolabilità della persona) richiesti dal patto; in forza della sua struttura chiusa e non suscettibile di modifica non potrebbe però aprirsi ad ampliamenti, evoluzioni e estensioni dei diritti garantiti, determinando dunque alla fine un contrasto fra i cittadini, che vogliono vedersi garantiti nuovi diritti e prerogative, e l’autorità, ferma nella sua politica di amministrazione autoritaria. Aggiungiamo che la possibilità che una struttura non democratica sia davvero in grado di garantire e implementare le libertà fondamentali e l’inviolabilità della persona (i cosiddetti diritti civili e politici) sembra davvero una possibilità per assurdo, anche se non argomenteremo per dimostrarlo: se ne ricava che un’istituzione non democratica non sembra la struttura migliore atta a garantire il rispetto e la difesa dei diritti umani, che noi abbiamo posto come obbligo fondamentale del potere politico rispetto ai governati. È opportuno notare che non ci spingiamo a sostenere che la democrazia sia l’unica struttura istituzionale atta a garantire la tutela dei diritti: tale affermazione potrebbe essere (e di fatto è stata) messa in discussione dagli stati autoritari che ieri come oggi giustificano la repressione delle libertà fondamentali del cittadino come strumento necessario al raggiungimento di obiettivi economico-sociali la cui fruizione è interesse dei cittadini stessi (è la nota controversia di priorità fra i diritti civili e politici e i diritti economico-sociali, a cui la guerra fredda ci ha abituato). Noi sosteniamo invece che è non l’unica, ma la migliore, in quanto pone nelle mani dell’individuo stesso la scelta di quali diritti siano da tutelare, secondo la prassi del modello contrattualistico. Non si esclude in via teorica che una comunità di cittadini possa accordarsi su un patto sociale che esclude il diritto alla libertà a vantaggio del diritto alla salute o a un buon stipendio, ad esempio, ma pur sempre dovrà essere una dinamica di tipo democratico a determinare una tale conversione di priorità (ad esempio l’elezione di una nuova assemblea costituente), altrimenti quale sarebbe la garanzia che la conversione di priorità rappresenti davvero ciò che vogliono i cittadini?

Il concetto fondamentale della superiorità della democrazia rispetto a qualunque altra forma istituzionale resta identico: in nessun altro modo i cittadini di una comunità possono esprimersi direttamente e intervenire su ciò che vogliono e desiderano; qualunque intervento dall’alto che esclude la partecipazione diretta dei cittadini è, nella migliore delle ipotesi, un’interpretazione di ciò che i cittadini desiderano o vogliono, ma mai direttamente un’interpellazione vera e propria della loro volontà.

Il legame fra democrazia e diritti umani risulta ancora una volta ribadito nella sua forza: resta da specificare che naturalmente la democrazia in questione è una democrazia concreta e non formale, come quella esistente nella maggior parte dei paesi cosiddetti democratici. Il modello democratico realmente in grado di consentire la tutela e l’effettiva implementazione dei diritti dell’uomo non è certo quello esistente nella pratica politica attuale, quanto piuttosto quello da noi presentato. Esso infatti è l’unico a esplicitare, nella prassi istituzionale, il fatto che i rappresentanti devono rendere conto del loro operato direttamente agli elettori e nella maniera più chiara, attraverso il sistema del mandato ristretto. Con questo sistema, i diritti dei rappresentati sono tutelati in maniera esplicita, dalla possibilità di una resistenza assolutamente pacifica che si concretizza nel rifiuto e nella ricusazione immediata del potere non rispettoso dei diritti. Il modello da noi proposto, insomma, non solo si presta alla migliore difesa delle esigenze più direttamente legate al concetto di «democrazia», quali la maggioranza e la rappresentanza, ma è il migliore candidato alla traduzione concreta nei fatti dell’ideale dello «stato di diritto», inteso in senso lato. 

E quanto si sia lontani attualmente dalla realizzazione di questo ideale, che renderebbe autentico il circolo virtuoso fra democrazia e diritti umani, lo dimostrano, al di là degli interventi propagandistici a cui da cinquant’anni le democrazie occidentali ci hanno abituato, le sistematiche violazioni dei più elementari diritti umani da parte del «campione» della democrazia occidentale, il colosso statunitense, oggi talmente note da non dover essere nemmeno esplicitate, oppure la quasi totale privazione delle libertà fondamentali in alcuni paesi a costituzione repubblicana, come in molti stati dell’Africa, o l’esistenza di politiche discriminatorie in Australia, o ancora la pressoché totale negazione del diritto di asilo, pure garantito dalle costituzioni (come nel caso italiano) in Europa.

E’ pertanto bene ribadire, a conclusione di questa problematica, che il modello di democrazia da noi presentato nelle pagine precedenti è talmente lontano da quanto attualmente esistente nel mondo da essere al riparo da ogni accusa di «occidentalismo». Una possibile forza di argomentazione sta anzi proprio nel fatto che la nostra proposta si propone come radicalmente prescrittiva nei confronti di tutti i sistemi istituzionali attualmente esistenti, compreso quelli democratici. 

A questo proposito Norberto Bobbio ha detto: 

non si tratta di sapere quali e quanti sono questi diritti, quale sia la loro natura e il loro fondamento, se siano diritti naturali o storici, assoluti o relativi, ma quale sia il modo più sicuro per garantirli, per impedire che nonostante le dichiarazioni solenni vengano continuamente violati [N. Bobbio, Presente e avvenire dei diritti dell’uomo, in L’età dei diritti].

Crediamo di aver individuato il sistema di garanzie più sicuro. Purtroppo è a questo punto che la teoria non può che fermarsi, per lasciare spazio alla volontà politica di cambiamento.

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