I Puntata
E’ un fatto che la sinistra riformista che sembrava poter governare sposando, tra anni ’90 e 2000, la tesi della vittoria finale del capitalismo (la sinistra dei Blair, Obama, Prodi, Jospin, ecc.) sia stata, paradossalmente, scavalcata non dai vecchi partiti conservatori di destra, in crisi anch’essi, ma da nuovi soggetti politici populisti che hanno letteralmente mescolato negli ultimi anni le carte su cosa è o non è politica, e cosa è o non è “popolare”, a volte persino scavalcando la sinistra classica su cosa è davvero di sinistra (penso a Podemos, o ai 5 Stelle o ai Gilet Gialli).
Lega, Movimento 5 Stelle, Gilet Gialli, Podemos, Alba Dorata, Orban in Ungheria, e soprattutto il trumpismo imperante in America scavalcano ogni definizione politica classica. Parlano alla pancia dei cittadini, usando nuove e astute tecniche di comunicazione, e rivoluzionano il linguaggio tradizionale della politica, che ripudiano. Sono i nuovi populismi, e, da forze di estrema sinistra mentre erano all’opposizione (nei casi sopra citati), arrivati al governo si rivelano essere forze di destra, a volte di estrema destra, in molti atteggiamenti e decisioni. E tuttavia ottengono il consenso e il favore elettorale di quella platea che dovrebbe essere il tradizionale appannaggio dell’elettorato di sinistra.
Non i grandi capitalisti infatti, ma la classe media e anche coloro che sono esclusi dal potere economico, votano per questi nuovi soggetti populisti.
In un recentissimo e acuto saggio, Per un populismo di sinistra, (Laterza, Bari, 2018) Chantal Mouffé ha descritto la voglia di cambiamento e la rabbia contro il sistema che questi cittadini incarnano. Ma la voglia di cambiamento e la rabbia contro il sistema non sono da sempre valori di sinistra? E allora la Mouffé ritiene che “È tempo di raccogliere la sfida che il ‘momento populista’ rappresenta. Questo ritorno può aprire la strada a soluzioni autoritarie, ma può anche condurre a una riaffermazione ed estensione dei valori democratici. Tutto dipenderà dalle forze politiche che avranno successo nell’egemonizzare le domande democratiche odierne e dal tipo di populismo che emergerà vittorioso”.
In pratica Mouffé propone un “populismo di sinistra”, che ispirandosi all’attuale scomposto populismo in voga in America come in Europa recuperi il coinvolgimento e la “seduzione” dell’elettorato mediante la rabbia e la passione. L’una e l’altra possono essere recuperate solo se si mantiene l’antagonismo e lo spirito anti-sistema, quella caratteristica che la sinistra dai tempi di Marx ha sempre avuto ed ha poi perso con il trionfo del capitalismo e il crollo del Muro. Per la Mouffé questo antagonismo deve generare una dicotomia in conflitto per il potere, un noi contro di loro che secondo la studiosa è incarnato sulla dicotomia assiologica popolo/oligarchia, dai tempi dei Gracchi ai Giacobini a oggi.
Cosa dire? Come combattere il populismo, arma principale attuale dei cosiddetti sovranismi di destra imperanti in Europa e America, magari anche con i suggerimenti di Mouffé?
Intanto, ben venga il riconoscimento di una dicotomia assiologica che identifichi il contrasto e antagonismo fra destra e sinistra. Ritengo però che la dicotomia inclusione-esclusione (vedi la lezione su “Destra e Sinistra dal crollo del Muro a oggi”) sia più precisa e calzante della generica contrapposizione fra popolo e oligarchia.
Infatti, il popolo è ormai da un secolo un concetto generico, in particolare dopo la terza e quarta rivoluzione industriale che ha creato molte più classi sociali di quante ve ne erano al tempo in cui Marx già diceva che non c’era più un popolo.
Il popolo è definito nel saggio della Mouffé come “catena equivalenziale di differenze democratiche”: segno che evidentemente il concetto è veramente vacuo e confuso.
Ma per giunta è generico anche il concetto di oligarchia: non ce n’è solo una, statica, e sempre uguale, ma piuttosto è vero che qualunque partito o soggetto che conquista il potere rischia di diventare oligarchia per il solo fatto di esercitare il potere in vista del puro e semplice mantenimento dello stesso (come Popper aveva ammonito). Pertanto, può essere un’oligarchia tanto la lobby delle banche quanto il binomio Che Guevara e Fidel Castro al potere, se entrambi mirano a escludere altri dal potere e a conservarlo e basta.
Mouffé intuisce però bene che questo conflitto basato sulla ripresa dell’antagonismo darebbe vita a una “radicalizzazione della democrazia” che non a caso a volte è definita “socialismo liberale” altre volte “riformismo rivoluzionario” e altre ancora “rivoluzione democratica”, ovvero proprio i termini dell’evoluta e antesignana riflessione di Jean Jaures, e poi degli azionisti Rosselli e Gobetti in Italia negli anni ’30 e ’40, coloro cioè che avevano capito prima del tempo che la soluzione comunista per la sinistra europea non poteva funzionare. E sono poi gli stessi termini di Norberto Bobbio, (che infatti Mouffé cita). In pratica, un nuovo Partito d’Azione, spinto a sinistra.
Questo nuovo “azionismo antagonista di sinistra” verso il capitalismo come nemico principale, ma senza il ripudio del mezzo democratico, dovrebbe portare linfa nuova alla radicalizzazione della lotta verso l’attuazione dei principi di libertà e giustizia di cui si nutre la democrazia, linfa nuova alla ripresa della passione politica per i militanti di sinistra (che effettivamente o è scomparsa o non sa dove indirizzarsi), e linfa nuova infine a una rivitalizzazione, attraverso lotta e passione, della figura del cittadino militante (definito da Mouffé chiama “cittadinanza attiva”).
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