Due libri sotto analisi in sei puntate per cercare di comprendere i futuri cambiamenti della politica in una democrazia sempre più on line.
In nessun altro campo della vita sociale una categoria di persone è altrettanto libera di intervenire sulla vita di altri cittadini come lo è, nel campo dell’informazione, quella degli addetti ai lavori. Medici, avvocati, magistrati, professori, pagano per gli errori dovuti a incompetenze o abusi, mentre questo non succede agli addetti all’informazione.
Qualunque sopruso si compia sulla verità da parte di tale categoria, esso è subito sepolto dall’argomento indiscutibile della “libertà di informazione”, che in realtà è il termine dietro cui si cela l’arbitrio dell’informazione, che è altra cosa.
Oggi la clausola sulla libertà di stampa contenuta nel primo emendamento della Costituzione americana viene infatti evocata per riuscire a proteggere le proprietà e gli interessi finanziari dei padroni dei grandi media contro l’Antitrust o altre forme di regolamentazione, piuttosto che per tutelare l’integrità e la libertà del dibattito pubblico o per difendere il diritto all’espressione delle minoranze.
Perché dunque lo stato democratico non può finalmente svelare il «grande inganno» che c’è dietro la propaganda della libertà di stampa da parte delle grandi major televisive o da parte di una categoria professionale che esercita il suo mestiere nella più assoluta assenza di regolamentazione e controllo? Perché non si può garantire con apposita legislazione che come in altri campi professionali anche nel campo dell’informazione ci si assicuri di avere le più ampie garanzie che chi esercita la professione lo faccia nella maniera più preparata e competente? Perché lo stato non può assumersi il ruolo di indicare standard che evitino la spettacolarizzazione delle informazioni, la unicità dei punti di vista, la non obiettività della narrazione giornalistica, invece di lasciare che l’intero sistema di regole sia auto-prodotto da quegli stessi che le devono applicare, come accade oggi in molti paesi?
Se lasciati in balia della logica di mercato, la maggior parte dei programmi che verranno prodotti dalla futura generazione di media, così come anche da quelli delle generazioni passate, saranno caratterizzati da ciò che gli economisti chiamano «eccessiva somiglianza». Tenderanno tutti a raggiungere le fasce d’età che vanno dai diciotto ai quarant’anni, escludendo tutte le altre. Si continuerà a concentrarsi sulle produzioni a maggiori consensi e audience. Vi sarà un eccesso di trasmissioni insensate ma commercialmente vantaggiose, e una scarsità di programmi radiofonici, televisivi, di libri e di riviste, o di musica e di film qualitativamente validi, intelligenti, interessanti. […] Qualità creatività e originalità non vanno di pari passo con la crescita della tecnologia a disposizione. Favorendo le esigenze degli spettatori abituali e quelle delle fasce d’audience maggiormente ambite dalla pubblicità, ovvero del pubblico che tendenzialmente guarda le trasmissioni più gettonate, l’economia del mercato televisivo finisce per promuovere l’omogeneità e non la diversificazione dei programmi.
Il panorama presentato da Grossman riguarda il presente. Si tratta, perciò, di ripensare con urgenza il problema della libertà di informazione nell’ambito della logica di mercato rispetto ai parametri con cui viene discusso oggigiorno. Mentre da un lato bisogna tutelare il pluralismo dell’informazione, garantendo non solo la libertà da ogni forma di censura politica, ma anche evitando il formarsi di grandi concentrazioni mediatiche in grado di influenzare con il loro potere non solo l’elettorato ma la stessa classe politica, dall’altro bisogna tutelare i cittadini dalla cattiva qualità dell’informazione, dalla possibilità che essa sia tendenziosa, falsa, supponente, superficiale, spettacolare, diseducativa.
La soluzione, individuata da Grossman, è che siano gli stessi cittadini, allestendo comitati di esperti, associazioni di “consumatori di informazione” a giudicare del servizio che viene loro reso, esattamente come avviene in molti altri campi del servizio pubblico e privato. Così come esistono i tribunali del malato, le associazioni di consumatori, e molte altre aggregazioni spontanee o organizzate di cittadini che intervengono sulle questioni che riguardano la loro vita e i loro diritti, così è assolutamente auspicabile e necessario che anche nel campo dell’informazione, uno dei principali diritti edificativi della democrazia diretta del futuro, i cittadini esprimano la loro parola in maniera libera e al contempo cogente, vincolando con proposte di legge, appelli al sistema giudiziario, relazioni periodiche da presentare agli stessi complessi mediatici, la qualità dell’informazione a cui sono sottoposti.
Naturalmente è nell’interesse generale del paese che gli organi di informazione abbiano la più ampia libertà sia di ricercare e scoprire segreti e inganni che di riportare l’azione illegale di chiunque abbia un certo potere politico. Poiché anche i media possono sbagliare, magari in buona fede, essi devono comunque avere l’opportunità di difendersi da attacchi legali talmente radicali da far tacere o scoraggiare qualsiasi altra possibile futura critica nei confronti di personaggi pubblici o autorità di governo. Resta tuttavia la forte necessità di incoraggiare la professionalità, l’accuratezza, l’affidabilità e il senso di responsabilità del giornalismo stesso.
Se la democrazia non mette in atto una seria riflessione su questi problemi, sarà sempre ben lontana dall’affrontare la questione del coinvolgimento diretto delle scelte dei cittadini nel governo. E i risultati inquietanti si fanno vedere già oggi: le democrazie non sono più nelle mani dei politici, ma di chi controlla l’informazione, che prima rappresentava solo un colossale business, ma oggi costituisce davvero un’arcana arma di potere:
Una repubblica elettronica, il cui governo dovrà fortemente dipendere dal grado di informazione della sua popolazione, necessiterà di una libera circolazione di opinioni e di idee. Il modo migliore per riuscire a raggiungere tale scopo sarà quindi, sia diversificare il più possibile la proprietà dei media, sia aumentare la presenza di operatori nella distribuzione delle informazioni.
Un’informazione libera e di qualità deve essere la bandiera del nuovo movimento di rinnovamento della democrazia, allo scopo di preparare l’avvento della democrazia tecnologica e mediatica, ultimo grande passo della democrazia moderna verso il ritorno alle sue origini antiche e al suo spirito originario.