Due libri sotto analisi in sei puntate per cercare di comprendere i futuri cambiamenti della politica in una democrazia sempre più on line.
Si apre ovviamente un capitolo spinoso nel quadro dei problemi della democrazia attuale, cosa che ha spinto anche qualcuno a ritenere che le democrazie di oggi siano anche meno democratiche di quelle passate, perché controllate dai poteri occulti in grado di dirigere le volontà delle persone.
La democrazia diretta non può oggi realizzarsi compiutamente se non si compie una riforma del sistema di accesso all’informazione. Diversamente, il potere assegnato al popolo di decidere con un click da casa su questioni che riguardano l’interesse nazionale o internazionale sarà in realtà un potere assegnato a quelle poche persone che in grazia dei mezzi telematici a loro disposizione sono in grado di orientare le scelte dei cittadini.
Una citazione basterà a chiarire quanto detto:
La proprietà dei media americani oggi è sottoposta a un continuo e accelerato processo di consolidamento e convergenza. Gli esempi parlano chiaro. La Capital Cities è proprietaria della ABC e di altre stazioni radio e tv, di alcuni grandi giornali e periodici e di un numero crescente di servizi via cavo. La Time Warner, proprietaria delle più diffuse riviste americane, essendosi aggiudicata i diritti di quasi tutte le maggiori reti incluse la HBO e la CNN, è diventata, in ordine di importanza, il secondo gestore di televisione via cavo, è inoltre proprietaria di una delle compagnie leader nel settore della produzione televisiva e cinematografica, nonché di alcune delle più grandi case editrici e case discografiche americane. La News Corporation, fondata da Rupert Murdoch, è proprietaria di stazioni televisive e di una intera rete tv, di varie case editrici, di riviste fra le quali «tv Guide», di canali via cavo, di un grande studio di produzione di film, di giornali e di stazioni tv via satellite, non solo negli Stati Uniti.
Come è possibile evitare ciò? In molti paesi si è ricorso ai ripari con alcune leggi che limitano la concentrazione del potere mediatico, garantendo il pluralismo dell’informazione. È senz’altro la strada giusta, semmai da continuare a seguire con ancora maggiore rigore e controllo.
Ma il problema della qualità dell’informazione non si identifica immediatamente con il problema del pluralismo dell’informazione. Avere più voci a disposizione che raccontano un fatto non garantisce il cittadino a sufficienza sulla certezza di essere giunto a conoscere la verità su quel fatto.
Quello che ancora la democrazia attuale non ha fatto, e che la politica riformatrice del nuovo secolo deve avere il coraggio di fare, è ripensare il problema della qualità e della veridicità dell’informazione. Un’altra osservazione di Grossman può aiutare a focalizzare meglio il problema in questione:
I media più popolari, prima fra tutti la televisione, riescono benissimo a richiamare l’attenzione della gente su argomenti specifici. Tuttavia, essi non aiutano il pubblico a formulare giudizi e scelte, per esempio, riguardo alla politica. Questioni assai complesse come la riforma sanitaria o le politiche della scuola che necessitano di spiegazioni accurate, non trovano, invece, molto spazio sui grandi media più commerciali. L’informazione frammentaria, negativa, ad effetto e semplicistica dei media finisce inevitabilmente per restringere anziché allargare le possibilità di scelta della gente.
Il tipo e la qualità di informazione che arriva attualmente attraverso i canali ormai tradizionali non può servire ad aumentare la qualità del processo democratico, ma anzi tende, come accade nei paesi occidentali in questi ultimi tempi, ad aumentare il distacco della gente dai problemi reali, distraendola con soluzioni spettacolarizzanti che puntano a tenerla molto lontano da un’autentica consapevolezza decisionale.
Le notizie facilmente fruibili, ovvero storie di corruzione incidenti, disastri e crimini, deviazioni sessuali e pettegolezzi, hanno in buona parte sostituito le notizie fruibili lentamente, costituite invece da importanti questioni economiche, sociali e politiche. Falsificazioni, messe in scena, esagerazioni, superficialità e la continua tendenza a ingigantire ogni controversia sono le modalità di programmazione sempre più evidenti sul mezzo di informazione pur sempre più influente, la televisione. I valori tradizionali e le vecchie regole deontologiche del giornalismo sono state gettate a mare nella spietata gara per aggiudicarsi l’audience e il successo commerciale. Il voler andare a tutti i costi verso un’informazione sempre più semplificata, da tabloid, sta facendo crollare il confine fra ciò che è notizia e ciò che è intrattenimento, tra giornalismo obiettivo e spirito di fazione.
Regole serie e meccanismi di controllo della qualità dell’informazione, utili a limitare questa tendenza o addirittura a modificarla radicalmente, non solo non sono ancora state messe in atto, ma non sono mai state pensate nella convinzione che esse costituirebbero un dettato anti-costituzionale, che priva il cittadino di una delle sue fondamentali libertà, quella di essere informato. Laddove esse al limite interverrebbero sulla questione della liceità di informare, che è argomento su cui le democrazie attuali devono con urgenza riflettere.