Due libri sotto analisi in sei puntate per cercare di comprendere i futuri cambiamenti della politica in una democrazia sempre più on line.
Il COVID-19 sta cambiando le abitudini dei cittadini, costringendoli in questi giorni a un rapporto prevalente a tu per tu col mezzo elettronico. Per via della situazione eccezionale, in molti contesti lavorativi sono sorti spazi collettivi on line di confronto come videoconferenze, virtual meeting, classi virtuali e tanto altro.
Nel mentre, Presidenti di Repubblica, governatori di regioni, Capi di governo, si affrettano sempre più a mandare i loro (a volte disordinati) comunicati affidandosi a una semplice webcam, e al mondo della rete, scavalcando ogni canale istituzionale.
In Francia si discute se rinviare le elezioni o cogliere l’occasione per avviare il voto elettronico, Negli USA il voto elettronico è una realtà già da tempo che però ha non pochi risvolti oscuri come visto nelle elezioni di Bush Junior e di Trump.
Il COVID-19 cambierà il modo di fare politica, e di rapportarsi alla politica, da parte dei cittadini?
Nessuno può saperlo, ma la riflessione su vantaggi e rischi della democrazia elettronica non è di oggi, e forse grazie alla lettura di qualche studio appropriato può esserci d’aiuto.
Nel terzo millennio, le ragioni tecniche che impediscono la partecipazione diretta dei cittadini alle scelte democratiche del proprio paese, non mediate dai rappresentanti in Parlamento, non sono così insormontabili come in passato. La tecnologia può oggi permettere un futuro in cui i cittadini possano facilmente, da casa, essere chiamati a esprimere la loro decisione anche di frequente, e non solo per occasioni eccezionali come le elezioni. Non siamo ancora a questo punto, naturalmente, ma le invenzioni e le realizzazioni tecnologiche seguono, non precedono le idee. E le possibilità ci sono. Le parole di Lawrence Grossman, studioso americano di tecnologia dell’informazione, in un libro ormai già classico come La Repubblica Elettronica, del 1999, sono al proposito illuminanti:
Decidere su questioni di importanza nazionale attraverso l’uso di consultazioni popolari dirette e referendum potrebbe diventare una realtà che […] si applicherebbe bene a temi quali le tasse o il bilancio nazionale. Altrimenti, per segnalare semplicemente ai rappresentanti eletti come gli elettori vorrebbero che essi votassero in Parlamento, potrebbero essere applicati dei referendum federali di tipo indicativo, misure queste già in vigore più di duecento anni fa in quattro stati americani.
Su materie di legge particolarmente difficili che trattano, poniamo, una riforma della sanità o temi sulla salvaguardia ambientale, il Congresso potrebbe considerare ragionevole delegare la decisione finale a un voto popolare. Tanto che i marchingegni elettronici in grado di realizzare ciò saranno presto messi in funzione.
Siamo a una svolta nuova, che un pensiero radicalmente riformista e innovatore deve saper gestire e dominare: abbiamo gli strumenti, o li avremo presto, per oltrepassare un altro limite verso la democrazia diretta. La politica deve prepararsi a questo passaggio, senza timori o ansie conservatrici. Deve cercare di prevenire il pericolo. La democrazia diretta infatti rischia di arrivare, come sembra tuonare tutt’oggi la minaccia populista, per spinta di una destra retriva che parla alla pancia dei cittadini.
Perciò, piuttosto che condannare o osannare la democrazia diretta, l’atteggiamento deve essere quello di considerare che vi sono ovviamente dei punti focali che la politica del futuro deve tener presente nell’accompagnare il passaggio della democrazia rappresentativa verso una nuova forma di coinvolgimento diretto delle masse. Grossman li riassume con ottima concisione:
Dal momento che le iniziative di consultazione popolare diretta e i referendum si concentrano soprattutto su quelle materie sulle quali è possibile scegliere semplicemente votando con un sì o con un no, esse minano alla base la possibilità di arrivare alla formazione di compromessi o coalizioni politiche. Inoltre, riuscendo a scavalcare il sistema dei check and balances, i referendum precludono qualsiasi analisi approfondita del quesito posto da parte di legislatori esperti; aumentano a dismisura l’importanza che i media soprattutto quelli elettronici, hanno nello spiegare alla cittadinanza le questioni sulle quali è chiamata a votare; talvolta sottopongono all’elettorato domande poco chiare e ingannevoli; lasciano spesso gli elettori sbigottiti dalla quantità e complessità dei quesiti sulla scheda; offrono ai cittadini una scarsissima protezione contro l’irruenza di campagne politiche che propagandano gli interessi di soggetti economici potenti; e infine spesso importantissime questioni politiche vengono decise sulla base di una misera affluenza alle urne da parte degli elettori.
E queste preoccupazioni, pur condivisibili, devono invitare la politica a una riflessione seria e a prendersi la responsabilità di guidare questa evoluzione con tutta l’attenzione e la cautela possibile, evitando lo sviluppo informe e caotico, senza necessariamente invogliare alla resistenza di fronte al nuovo.