L’idea presentata nelle puntate precedenti della perennità dei diritti umani è chiaramente in contrasto con la dimostrazione della loro genesi storica e pragmatica, a meno di accettare una visione della storia in base alla quale le comunità del globo terrestre tendono al graduale perfezionamento della loro ideale «carta dei diritti», per cui in futuro sarebbe da aspettarsi un ampliamento dei diritti attuali ma non un loro ripensamento. Noi non ci spingiamo fino a tale posizione,
ma avanziamo l’idea che certe tappe della storia rappresentino i mattoni sui quali le successive comunità costruiscono il loro modello di sviluppo: l’Illuminismo, l’Età delle Rivoluzioni e in particolare la Rivoluzione Francese, gli orrori delle due guerre, rappresentano appunto quei mattoni sui quali il mondo contemporaneo ha costruito a fatica la sua idea di diritti umani, ed è difficile pensare che questa tappa della storia possa essere calpestata o ignorata in futuro (sebbene la storia ci ha insegnato che tutto è possibile).
La perennità dei diritti umani fondamentali può essere allora intesa come una confortante possibilità, anche se non una certezza apodittica, restando, pur come tale, sufficiente a garantire il valore assoluto dell’idea che rappresenta. Una perennità così concepita si apre inoltre alla possibilità dell’ampliamento, del perfezionamento dell’ideale carta dei diritti, cosa che peraltro gli eventi degli ultimi anni stanno già mettendo in mostra, dato che a soli cinquant’anni dalla Dichiarazione Universale già si parla di diritti di terza e quarta generazione, e di estensione dei diritti dell’uomo a esseri non umani (animali, embrioni nascituri). I nuovi diritti sembrano avanzare le loro pretese di riconoscimento, ma senza mettere in discussione i traguardi precedenti già raggiunti (la garanzia delle libertà civili, la sicurezza della persona, i diritti sociali, ecc.). Il modello da noi delineato pare tenere in conto anche questi (ancora incerti) sviluppi della dinamica dei diritti umani.
Abbiamo dunque dimostrato che è possibile risolvere allora la controversia sulla definizione, la validità e l’origine del concetto di diritti umani attraverso il modello contrattualistico sopra presentato. Il fatto stesso che in molte comunità del mondo attuale tali diritti figurino nelle costituzioni statali sembra dare ragione alla validità teorica e all’applicabilità pratica del nostro modello (altro ovviamente è il discorso sull’effettiva tutela e implementazione dei diritti previsti dalle costituzioni: su questo sicuramente il mondo è ancora in terribile ritardo. Le argomentazioni seguenti sull’obbligo morale dei governanti nei confronti dei diritti umani serviranno proprio ad approfondire questo tema) per quanto ovviamente il patto sociale resta un modello ideale, mai verificatosi di fatto nelle dinamiche storiche di genesi delle nazioni.
Possiamo adesso affrontare la questione del legame fra democrazia e diritti umani. Cercheremo di mostrare che la concezione di «diritti umani» da noi presentata può essere implementata solo all’interno di una struttura istituzionale di tipo democratico, e precisamente in quel tipo di struttura da noi delineato nelle pagine precedenti.
Ritorniamo alla questione del legame fra obblighi e diritti: la definizione di alcuni diritti fondamentali introduce, a livello giuridico, l’esistenza di questi diritti in senso positivo solo se esiste una norma che determina un obbligo in relazione a tali diritti.
Naturalmente, gli obblighi giuridici hanno come oggetto principale e più frequente proprio i cittadini dello stato: sono essi a essere costretti al rispetto della norma obbligante, in quanto hanno scritto un patto proprio in questo senso. Ma il patto, come abbiamo già visto, è anche fra governati e governanti: dunque anche i governanti sono sottoposti all’obbligo giuridico di rispettare i diritti fondamentali, in quanto questi sono parte integrante dei contenuti del patto sociale che rappresenta per loro l’obbligo fondamentale, la ragione per cui hanno ottenuto il mandato fiduciario dai cittadini. Esiste dunque un obbligo giuridico dei governanti a rispettare i diritti fondamentali una volta che essi siano divenuti, da semplici esigenze «contrattuali» poste nel patto, diritti positivi inseriti nel sistema giuridico (nella costituzione ad esempio). Fin qui, nulla di nuovo.
Ma esiste senza dubbio anche un obbligo morale dei governanti verso il rispetto dei diritti dei propri cittadini, e, sebbene questo tipo di obbligo non sia sanzionabile da alcuna norma, e non abbia quindi conseguenze fattuali, esso è anche più importante del precedente: in quanto questo obbligo è costitutivo del mandato stesso dei governanti, nella misura in cui, come abbiamo già detto, l’azione del politico non è altro che un’azione etica, di contenuto di volta in volta variabile, derivante dal rispetto del patto sociale fondamentale istituito con i cittadini. Se i diritti umani figurano come contenuti principali del patto, ne segue che la prima priorità dell’azione politica è quella di rispettare i diritti fondamentali garantiti dal sistema. I governanti, i soggetti politici, hanno un obbligo morale esplicito e insostituibile nel difendere, tutelare e rispettare i diritti umani all’interno della comunità a loro sottoposta, e questo obbligo è prioritario rispetto a qualunque altra finalità. Ne segue che nessuna azione politica non rispettosa dei diritti umani può essere giustificata in virtù di scopi (presunti) più alti, come la difesa degli interessi nazionali o la ricerca di uno status di benessere più alto.
Mentre, apparentemente, l’obbligo giuridico a cui sono vincolati i governanti sembra essere garanzia più efficace relativamente alla tutela dei diritti, in realtà è l’obbligo morale a fornire una garanzia migliore, anche dal punto di vista pratico: il primo, l’obbligo giuridico, è sottoposto al funzionamento imparziale e ineccepibile del sistema giuridico, cosa della quale si può legittimamente dubitare nel caso in cui a essere oggetto di persecuzione giuridica siano i governanti, cioè i detentori di quel sistema (la storia ma anche l’attualità ci offre esempi continui del caso); il secondo, invece, è, in questo senso, assoluto, e scioglie immediatamente i cittadini dal vincolo di obbedienza e di rispetto delle leggi, in quanto il patto fondamentale è stato tradito, e pertanto il diritto alla resistenza è lecito.
A questo punto, il legame fra diritti umani e democrazia emerge nella sua chiarezza: si può dimostrare che un sistema istituzionale democratico è più funzionale al rispetto dei diritti proprio in quanto consente l’attuazione del diritto di resistenza (dovremmo dire di contestazione in questo caso) nella maniera più indolore e pacifica. Lo faremo nell’ultima puntata di questa serie di articoli
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