Se è vero che il nostro modello di istituzione democratica impone il rispetto, da parte del rappresentante, dei voleri dei rappresentati, è pur vero che è ovviamente impensabile l’esecuzione diretta, da parte del rappresentante, dei voleri dei propri rappresentati in ogni momento, anche solo a livello teorico: si richiederebbe una conoscenza totale e completa in ogni momento della volontà degli elettori, il che è assurdo. In una democrazia rappresentativa, anche solo a livello teorico è impossibile non pensare a una struttura di mediazione fra la volontà del singolo elettore e l’azione del suo rappresentante, non foss’altro che per il fatto che il rapporto fra l’uno e l’altro non è di uno a uno ma di molti a uno.
È noto che questo ruolo di mediazione è stato svolto fin qui dal sistema dei partiti, che ha avuto un’indiscutibile funzione storica, come riconosce Weber. Ma è altrettanto noto che questo ruolo di mediazione è sempre più oscurato dall’incapacità attuale dei partiti di fungere da mediatori, colpevole quella autoreferenzialità del potere che osserva ad esempio Habermas, che è pericolosamente cresciuta negli ultimi cinquant’anni di democrazia. Oggi i partiti non si pongono realmente come mediatori, ma piuttosto come recettori di voti attraverso i quali conquistare un potere che non sarà esercitato tanto in funzione di quegli elettori che li hanno votati, quanto in funzione di gruppi occulti e lobby di vario tipo che per la loro influenza riescono a condizionare, meglio del voto elettorale, le scelte di governo.
Un conto è riconoscere il ruolo storico di certi sistemi o strutture istituzionali, un conto è sancirne l’indissolubilità o la loro presenza necessaria in qualunque tappa futura dello sviluppo democratico. Se il ruolo dei partiti nella funzione di mediazione delle volontà dei rappresentati ha avuto il suo momento storico di grande efficacia, nulla impedisce di pensare che questo ruolo sia definito ab aeterno e non possa essere opportunamente rivisto, in specie di fronte a sintomi evidenti della sua crisi profonda. Con degli opportuni limiti di applicabilità, non è forse possibile pensare a un ripensamento radicale dell’approccio generale a questo tipo di questione, attraverso una riforma istituzionale della norma o del complesso di norme relative al «mandato» elettorale?
A tale riforma va accompagnato un ripensamento dell’idea di rappresentanza nel senso del rafforzamento del suo legame etico con la base, attraverso vincoli giuridici (eventualmente anche di tipo sanzionatorio) che abbiano la funzione di esplicitare l’appartenenza del rappresentante, vincolando il suo ufficio all’esercizio di un mandato ristretto, a garanzia del rispetto del volere dei propri rappresentati, volere espresso da una più trasparente partecipazione ed appartenenza al gruppo. Il concetto di gruppo, in questo caso, potrà non coincidere con il concetto di partito, ed anzi esso tenderà a travalicare i confini tradizionali dell’appartenenza politica, costituendosi il gruppo come un aggregato più omogeneo di persone e categorie sociali comprendente persone che si identificano nello stesso ruolo sociale, nella stessa categoria lavorativa, ma anche nella stessa visione del mondo e della politica (il gruppo degli intellettuali, il gruppo degli imprenditori, il gruppo dei lavoratori dipendenti, tanto per fare esempi).
Sotto queste condizioni, una maggioranza parlamentare sarebbe più diretta espressione della maggioranza degli elettori: essa sarebbe più composita (al posto degli attuali partiti, a condurre direttamente il gioco politico avremmo i gruppi sociali che in essi finora si sono espressi, e che adesso avanzerebbero in una posizione di prima linea nella gestione della politica) ma non necessariamente meno rappresentativa o meno efficace per gli scopi che essa si propone. Resterebbe in questo modo garantito, e garantito da una norma giuridica, il vincolo etico fra eletto ed elettori che abbiamo individuato come elemento cruciale della nostra teoria della politica. E resterebbe in questo modo garantito il suo ruolo e diritto fondamentale di conduzione delle scelte di governo, anche se è possibile pensare a ulteriori meccanismi che assicurino ancor di più la sua stretta rispondenza alle volontà degli elettori.
Fra questi meccanismi ci pare di poter elencare le seguenti condizioni, non difficili tecnicamente da realizzare e da rispettare:
- I programmi elettorali dovrebbero essere chiari e resi pubblici agli elettori nella maniera più diffusiva. Essi devono contenere una lista di «impegni» che il singolo candidato promette ai gruppi di elettori, impegni resi però in termini di obiettivi quantificabili, verificabili e valutabili. In questo modo, sarebbe possibile vincolare l’operato del rappresentante al perseguimento di questi obiettivi, rendendo praticabile l’ipotizzata sanzione giuridica nel caso che egli si allontanasse da essi per perseguire altri obiettivi non indicati nel programma. Sicché, mentre, come è logico, nessuna sanzione dovrebbe essere prevista per il mancato raggiungimento degli obiettivi, che non è cosa sempre dipendente dalla volontà umana, verrebbe istituita una sanzione per il mancato perseguimento degli obiettivi, che, dati i requisiti dei programmi elettorali, dovrebbe diventare cosa accertabile.
- Dovrebbe sussistere una possibilità agevole di sostituire i governati in caso di mancato raggiungimento degli obiettivi previsti anche prima delle scadenze elettorali, il che significa che la fine di un governo e la crisi istituzionale non dovrebbe essere decisa a livello di Parlamento, dove tende a essere schiava degli interessi consociativi e delle politiche trasformiste, ma a livello degli elettori. È possibile ipotizzare in questo senso ad esempio una verifica periodica del consenso elettorale, anche durante lo svolgimento del mandato.
- Il più alto numero possibile di decisioni dovrebbe essere sottoposto alla consultazione diretta degli elettori attraverso “giurie popolari” costituite per sorteggio, come si suggerisce in un recente libro: il che significa ricorrere agli istituti plebiscitari solo in condizioni eccezionali, e ricorrere invece a questa sorta di giurie popolari consultive e non decisionali in tutti i casi in cui non è possibile evitarlo per ragioni tecniche e pratiche.
La realizzabilità di queste ultime ipotesi, mai come oggi, non è tanto lontana come può sembrare all’apparenza, se consideriamo la grande potenzialità offerta in questo senso dallo sviluppo intelligente e adeguato di una rete di informatizzazione adibita a questi scopi.
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